Le menzogne di cui il Paese non si vuole liberare
Molti fenomeni, spesso i più drammatici, si fondano sulla menzogna che li ha generati e li alimenta.
La guerra è il primo esempio eclatante di questo tipo, l’espressione peggiore di una menzogna celata dai contendenti, la menzogna di volere la pace e quella di voler abbracciare il nemico in virtù dell’essere tutti fratelli, tutti uguali. Se non fosse una menzogna, a ben vedere, le guerre non inizierebbero o finirebbero velocemente. Non voglio né dire, né teorizzare la consegna passiva al nemico a seguito degli attacchi delle guerre di aggressione, ma stimolare la lucidità di affermare che chi scende in guerra non può essere buono, senza distinzione di barricata.
Le disuguaglianze/discriminazioni sono il secondo esempio. Non bisogna arrivare all’odio razziale per rappresentarle. È diseguale (e quindi ingiusto) il fenomeno delle liste d’attesa in sanità, delle migrazioni sanitarie con tanto di viaggio della speranza, il vivere tre anni in meno (in media) e morire in culla di più, a seconda di dove nasci, ecc. Tutto questo nella stessa nazione, non in Stati diversi, sotto lo stesso cielo, lo stesso governo e la stessa classe dirigente. Un’altra grande menzogna collettiva che si consuma: la dichiarazione dell’universalità dei diritti, compreso quello alla salute e all’istruzione (i tassi di dispersione scolastica sono più alti al sud rispetto al nord), che di fatto universale non è, se lo Stato non rimuove gli ostacoli a veder soddisfatti i bisogni per tutti i cittadini! La menzogna diventa recidiva se le soluzioni ci sono e non vengono adottate, se la meritocrazia è possibile e viene sacrificata sull’altare del consenso o del mezzuccio, come abbiamo ampiamente dimostrato negli scritti precedenti!
Le condizioni dei reclusi sono il terzo esempio, contaminato da almeno una doppia menzogna. La prima: dichiarare la funzione rieducativa (e socialmente riabilitativa) della pena condannando nel contempo il recluso a condizioni carcerarie che non solo non rieducano, ma costringono a vivere nel sovraffollamento e nel disagio. La verità celata dietro la menzogna è che, forse, tali condizioni fanno parte della punizione da infliggere, altrimenti risulterebbe inspiegabile l’assenza di investimenti per fronteggiare tale incivile stato di fatto. Ma ancora più incivile e menzognero è pensare che la condizione del recluso sia perimetrata alle mura di un istituto penitenziario e dell’esistenza singola di chi patisce la detenzione, dimenticandosi (dolosamente, perché troppo evidente a tutti), che quel detenuto ha una famiglia che non può pagare gli errori del proprio padre o della propria madre, spesso con figli minori che pagano la condanna sociale senza aver commesso nessun reato.
Potremmo scorrere in tanti altri esempi la rassegna delle menzogne da cui è affetto il nostro Paese, molti li abbiamo rappresentati nei post precedenti, passando anche per la narrazione delle assurde ovvietà irrisolte di uno Stato che progetta la presa in carico dei fragili in modo parcellizzato e che anziché semplificare l’accesso ai servizi, dimentica che la semplificazione è cura per chi è “disorientato”, fino a valutare due volte le condizioni sanitarie del medesimo soggetto, solo perché il procedimento è distinto (vedi il caso delle commissioni per il riconoscimento dell’handicap).
Ma davanti a tanta inefficienza, che spesso diventa inciviltà, incuria e bugiarderia di Stato, dov’è finita l’emozione e l’opinione pubblica? La prima sembra essersi tuffata nella virtualità, nei metaversi e nelle presunte intelligenze artificiali che producono emozioni artificiali, tra un social e una trasmissione televisiva, dove si attende assurdamente Zelensky a Sanremo più degli artisti in gara; la seconda, sembra offuscata dalla prima e si forma in piazze lontane dalla realtà, dove si alterna il “presentismo” (fondato sull’io ci sono sempre e ovunque, ma mi dissolvo negli istanti del presente, mettendo in piazza social ciò che non avrei mai esibito nelle piazze vere, dal corpo a un piatto di pasta a un pensiero intimo) allo spionaggio da buco della serratura di chi si iscrive a un social per osservare gli altri.
Una via d’uscita c’è, per tutti, nell’esercizio delle responsabilità individuali e collettive. Come al solito dipende dalla volontà, ma anche da una consapevolezza: che le bugie hanno le gambe corte e producono oscurantismo, le verità (nella loro ricerca) luce e durevolezza. Le prime non comportano sudore (ma grandi ansie), le seconde sì, perché comportano ricerca, lavoro, studio, impegno, riflessione profonda, ma rendono anche profondamente liberi, per sempre e autenticamente.
Foto di Victoria_Watercolor da Pixabay