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La malattia è una per la scienza, ma non per Inps e altri enti pubblici deputati ad aiutare i più fragili
Più scrivo di ovvietà irrisolte, più si alimenta il dubbio in me che la vita è complessa anche (e non solo) per la volontà dell’uomo che la vuole tale. La scienza, come la saggezza popolare, si è sempre prodigata per risolvere i piccoli e grandi problemi dell’umanità, ma la presenza di questioni irrisolte, di facile soluzione, che rendono molto difficile la vita dei cittadini, danno la cifra di un’incapacità diffusa che abitua alla rassegnazione paralizzante.
Da queste pagine ho inaugurato la rassegna delle ovvietà irrisolte nel teatrino da “Truman Show Politico all’italiana”, parlando di liste d’attesa in presenza della possibilità dei medici del servizio pubblico di svolgere attività libero professionale (intramoenia ed extramoenia), di sanità diseguale da territorio a territorio in presenza di uno scritto, ma non completamente praticato, diritto alla salute costituzionalmente garantito. In questa riflessione, il terzo episodio della rassegna, voglio occuparmi delle consapevoli scelte a freno delle prestazioni assistenziali e sanitarie che conseguono a malattie gravi.
Non so quanti sanno che in Italia (con differenze non sostanziali sul principio generale in alcune Regioni) per ottenere un beneficio derivante da una patologia già accertata da un ospedale pubblico, bisogna fare un’istanza e farsi valutare da un organo collegiale. Lo stesso avviene se viene accertata un’incontinenza per richiedere una fornitura di pannoloni. Anche un bambino si domanderebbe perché una doppia verifica della condizione sanitaria (anche tripla se si considera il passaggio di ratifica dell’apposito servizio medico legale Inps per il via libera al dispositivo economico, ma questa poco ci preoccupa perché è un passaggio interno, di backoffice, anche se aggrava e appesantisce la pratica e i relativi tempi) per ottenere un beneficio urgente in quanto destinato a soggetti gravemente compromessi? Per riassumere: una persona gravemente compromessa (ciechi e ipovedenti, sordi, muti e sordomuti, soggetti non autosufficienti per grave patologia a volte irreversibile e cronica, ecc.) deve fare un’istanza per ottenere i benefici assistenziali vari da pensioni di invalidità a riconoscimenti vari di carattere normativo e assistenziale, anche quando è in chemioterapia o reduce da un incidente stradale in sedia a rotelle o in coma irreversibile.
La domanda sorge spontanea: esempio invalidità legge 104, dopo quanto arriva verbale? Entro 120 giorni dalla visita l’Inps invia il verbale sanitario con la risposta, ma solo nel caso in cui condivida l’esito formulato dalla commissione medica dell’Azienda Sanitaria pubblica. Ciò significa che la scienza medica dipende dalle latitudini amministrative e, come di solito succede, chi paga i conflitti di interpretazione sono i cittadini, quelli fragili ovviamente, che in tanti casi ricevono il beneficio a beneficiario deceduto, quando insomma quel beneficio, di già espressione di un welfare risarcitorio e non sartoriale, diventa un risarcimento ereditato dagli eredi, snaturandosi nella sua ratio che è quella di far fronte al bisogno quando questo si manifesta con tempestività.
Perché tutto questo? Perché tanta sciatteria a danno dei più fragili? Ma peggio ancora, perché tanta rassegnazione e poca indignazione, dinanzi alla complicazione delle cose semplici? Perché, con gli stessi argomenti che si usano per il reddito di cittadinanza esistono truffatori e malandrini vari, falsi percettori e falsi invalidi? Questi sono squallidi luoghi comuni, perché non è lo strumento che crea la truffa, ma gli artifizi e raggiri che qualcuno fa e che, nella specifica materia, i numerosi passaggi forse agevolano e non neutralizzano.
Ma è così difficile stabilire una sorta di principio di automaticità delle prestazioni socio-sanitarie e socio-assistenziali che si innesca a cascata e senza intervento del cittadino nel momento in cui una struttura sanitaria pubblica accerta determinati requisiti? Ma dove la natura ha creato situazioni di svantaggio, può l’uomo semplificare la “cura” dei soggetti più fragili o meglio, non complicarla? Ma a cosa servono questa sfilza di commissioni e sottocommissioni dopo che una patologia è stata accertata? Il sapore è quello della moltiplicazione dei luoghi di potere.
Qualche anno fa descrivendo la presa in carico per “Sportelli Unici per la Famiglia” e poi in una ulteriore declinazione per “Sportelli Unici per la Salute”, una rivista scientifica titolò la mia pubblicazione “Quando la semplificazione diventa cura”. Quel titolo sottintende la verità drammatica che l’appesantimento burocratico nell’accesso alle cure e alle prestazioni sociali, specie quelle derivanti da malattie, significa aggiungere problemi ai, e curare male, i malati, a volte impedendogli in via assoluta di accedere al sistema di salute, specie quando si aggiunge l’assenza di rete parentale…e riguarda anche i bambini e il diritto allo studio, che per accedere all’integrazione scolastica specialistica devono far domanda per il tramite delle loro famiglie dopo l’accertamento sanitario e la certificazione di cui alla legge 104, in presenza di diagnosi sanitarie già esistenti. Mettiamo fine a questa terribile e crudele versione di Stato che, se non è dolosamente colpevole, peggio ancora si perde in un bicchiere d’acqua con conseguenze pesantissime sui più fragili?