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Dal “tribale” caporalato ancora irrisolto come fu per il contrabbando, alla sanità come mera assenza di malattia
C’è un filo rosso nel nostro Paese, dove si gioca l’eccellenza o l’inefficienza, il dramma dello sfruttamento o il benessere, la salute o l’assenza di malattia: è l’approccio multidimensionale assente (più o meno colpevole) di tanta classe dirigente.
Dal “tribale” e ancora irrisolto caporalato in agricoltura, ancora irrisolto come fu per il contrabbando, dove lo Stato passò nel giro di poche settimane dal ritenere imbattibile un fenomeno criminale complesso intriso di aspetti sociali che intrecciavano l’occupazione illegale, e spesso per necessità, di migliaia di cittadini, alla sua sconfitta in modo tombale e senza possibilità di recidiva dello stesso, ci vollero le dolorose morti dei giovani baschi verdi di 33 e 29 anni, Alberto De Falco e Antonio Sottile, speronati più di 20 anni fa dai contrabbandieri, per scuotere le coscienze del Paese e avviare l’operazione primavera, che sgominò l’esempio tipico di un’organizzazione criminale che faceva da ammortizzatore sociale, ma che dimostrò di essere sostituita senza drammi. Fu la primavera di un popolo che partì da Brindisi.
20 anni dopo circa, sempre in quel di Brindisi, muore di ritorno dai campi, morto di lavoro e di caldo afoso, il giovane africano Camara Fantamadi, l’ennesima morte di un lavoratore immigrato. Coscienze fortemente scosse dalla morte di un giovane, tra i cori di solidarietà e la nostalgia delle lotte ultratrentennali del sindacato, ma con la nota costante di un problema che continua, che per i miopi è un problema degli immigrati, senza conoscere un fenomeno che riguarda l’economia del bracciantato italiano e straniero, con differenze rispettivamente lievi sulle paghe, con la costante del dramma dello sfruttamento e di chi lucra, mentre lo Stato eroga barche di denari in ammortizzatori sociali che incoraggiano il sommerso e una vita da precari.
Il lavoro in agricoltura è spesso sfruttamento, ma non è questione solo di paghe e diritti dei lavoratori. Pochi guardano per esempio alla condizione dell’infanzia nella vita familiare dei braccianti, dove piccoli in fasce debuttano alla vita con genitori che escono da casa alle 4 di mattina e rientrano 12 ore dopo, nel silenzio di un welfare ancora troppo ingessato e arretrato su servizi per l’infanzia, costruito sulle condizioni occupazionali di impiegati, operai regolari e liberi professionisti. Quegli infanti inizieranno nel disagio, nei primi 36 mesi in cui formano buona parte di se stessi come le scienze neuropsicologiche ci insegnano, la loro vita individuale e sociale che durerà nei successivi 70/80 anni delle loro esistenze che faranno la società del futuro.
Ma il filo rosso lega anche un sistema Paese, crollato sotto i colpi della pandemia, dove la sanità è ancora assenza di malattia, dove il concetto di salute globale è ancora molto lontano, chiamando eccellenza la migliore chirurgia toracica, o la migliore cardiochirurgia. Per carità, non è un’accusa di inutilità ai migliori professionisti che abbiamo nel sistema e di cui andar solo fieri, ma il voler segnalare che un paziente guarisce non “riparando” il suo organo come avviene per un pezzo di un auto, ma con l’attenzione multidimensionale di chi si occupa di tutta la persona, che a differenza dell’auto ha un corpo e un’anima, intimamente connessi.
La miopia dei “monodimensionali” è l’atteggiamento tipico di chi ricerca l’alibi per non risolvere i problemi o quello di chi si convince che il proprio frammento sia il tutto, scansando la realtà lapalissiana che non solo la somma dei frammenti non genera il tutto, ma anche che nel frammento stesso c’è il tutto.
La cura della miopia della classe dirigente “monodimensionale”, è quella di allargargli la visuale rendendola multidimensionale o semplicemente aderente alla realtà. Ciò significa non piangere più morti in agricoltura attivando congiuntamente un tavolo che metta assieme la magistratura, le forze dell’ordine, gli esperti di ammortizzatori sociali e quelli di sviluppo economico, le organizzazioni sindacali e le parti datoriali, con la determinazione di mettere fine a un fenomeno tutto italiano dove è lecito scegliere tra lavoro e vita, in fabbrica come in agricoltura.
Ma significa anche traguardare un sistema di salute globale, dove la distinzione tra sociale e sanità è questione di organizzazione della cura a cura degli addetti ai lavori, ma non può essere il fondamento legittimo e legale di un’organizzazione pubblica che spezzetta i problemi da risolvere e con essi le persone che ne sono portatrici. In medicina la ricerca evolve verso quella traslazionale, fondata sulla interdisciplinarietà che risponde bene all’esigenza di multidimensionalità, ma la “traslazione” che la ricerca biomedica approfondisce e sperimenta, non è forse necessaria a tutte le “terapie” che nel sociale soffrono l’inflazione di quelle “palliative”?