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Quando la solidarietà diventa perimetrata

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Essere solidali dovrebbe esprimere l’impegno per colmare le disuguaglianze all’insegna della fraternità. Accade, tuttavia, che per via di un interesse meritorio, qualcuno venga escluso. Tre declinazioni reali: l’impegno individuale, la politica, il terzo settore

Una cosa è certa: siamo un Paese generoso. Le emergenze trovano sempre la risposta del volontariato, anche non organizzato in sodalizi strutturati, spesso anche prima che parta la macchina pubblica. Così è anche nell’erogazione di alcuni importanti servizi pubblici che ammortizzano le inefficienze dello Stato ai vari livelli, scrivendo pagine di meritoria solidarietà ma anche scandendo paradigmi di una sussidiarietà che diventa un alibi per la macchina pubblica.

La solidarietà è espressione di un principio e di un impegno per rendere tutti uguali, per colmare le disuguaglianze che la natura, le avversità della vita, le condizioni di origine diverse, ecc. hanno generato. Spesso però chiamiamo solidarietà tutto ciò che è frutto di un impegno meritorio ma che tutti uguali non rende, perché perimetrata (a un interesse meritorio, più largo del perimetro individuale ma comunque limitato a un gruppo o escludente qualcuno, indi non con la proiezione dell’universalismo dei diritti ma semmai selettivo) e non a tutto campo come richiederebbe la fraternità, che è solidarietà piena, in relazione e mai può vedersi abbinato l’appellativo di “perimetrata”, salvo voler sfociare in una contraddizione in termini.
Le premesse possono apparire astratte ma diventano notevolmente concrete se le applichiamo alla realtà. Tre declinazioni: l’impegno individuale, la politica, il terzo settore.

Prima declinazione: l’impegno individuale è all’insegna della fraternità e non della solidarietà perimetrata, se ogni azione (in famiglia, nel lavoro, nella propria comunità) si assume la responsabilità di verificare tutti i possibili impatti sugli altri che quell’azione potrebbero subire, almeno in termini di approccio.

Seconda declinazione: la politica è all’insegna della “fraternità” se nelle differenze delle visioni, ha il comune obiettivo di far star bene tutti, non un gruppo. Se è patriottica nella difesa di una bandiera che abbraccia e avvolge tutti i suoi cittadini (patriottismo sociale). Se pensa alla pace non solo all’interno dei propri confini nazionali ma con lo sguardo a come contribuire alla pace di tutto l’universo, nei piccoli e grandi gesti, nella capacità di essere formati anche a saper litigare, smarrita abbondantemente con l’avvento coinciso con l’avvento della seconda Repubblica che ha buttato via il bambino (i partiti come luoghi di formazione popolare e di selezione della classe dirigente) con l’acqua sporca (la corruzione, che poi proprio sparita non è, sussistendo a tutt’oggi come le cronache giudiziarie ci ricordano, finanziando i singoli al posto dei partiti; lasciamo al lettore giudicare cosa è meglio o peggio). La politica, anche per colpa del bipolarismo e delle liste bloccate, che ha polarizzato anche le incapacità impedendo di emergere a colpi di sbarramenti i possibili semi di speranza e di rinnovamento, quando litiga non c’è volta che non lo faccia per far vincere una parte e mai la sintesi di differenze nell’interesse unitario di un Paese intero.

Terza declinazione: il terzo settore, a oggi ancora dotato di una grande reputazione, è l’unica speranza di cambiamento per il Paese e di rigenerazione della politica. Può esserlo però nella misura in cui imbocca la strada della solidarietà universale (e quindi della fraternità), senza restare qualificato strumento di un meritorio impegno, perimetrato alla propria identità. Per rendere l’idea, ho sempre affermato nell’organizzazione in cui milito (le ACLI), che non siamo chiamati a far grande l’Associazione se a questo esser grande, non abbiniamo l’ambizione di traguardare il benessere di tutti e di ciascuno, come farebbe lo Stato (a proposito di sussidiarietà autentica e non taroccata). Concretamente significherebbe sostenere la tendenza normativa ormai marcata (e coraggiosamente avviata dal Codice Unico del Terzo settore) di abbandonare i presunti e legittimi vantaggi degli appalti (a cui può partecipare anche il profit più spietato) e imboccare la strada delle coo-progettazioni su istanza degli enti del terzo settore e non necessariamente in attesa di un impulso del soggetto pubblico. Meno margini da gestire senza vincoli e sole trasparenti rendicontazioni a costi reali? Sì! Ma anche il grande compito e il grande traguardo di essere diventati maturi per gestire la cosa pubblica, al pari dello Stato, privilegio che il Codice Unico del Terzo settore ha dato solo agli ETS.

Foto in evidenza di Alexandr da Pixabay

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Gianluca Budano

Welfare manager pubblico, esperto in materia di politiche socio-sanitarie, ha diretto numerose amministrazioni pubbliche, anche in funzione di sovraordinato del Ministero dell’Interno in Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Co-Portavoce nazionale di Investing in Children – Alleanza per l’inclusione e il benessere dei minori in Italia, già Consigliere di Presidenza Nazionale ACLI, Consigliere di Amministrazione di Terzjus – Osservatorio Nazionale di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale, componente del Direttivo Nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, dirigente di Avviso Pubblico – Associazione di Enti Locali e Regioni contro le mafie.