Un giovane occupato evita i casi di presa in carico sanitaria e lega lo sviluppo e la realizzazione personale a quella di un’intera comunità
Il lavoro è un bene speciale. Come la sanità contribuisce al benessere fisico e psicologico. Come la sanità è straordinariamente popolare per il numero di persone che incrocia. Se c’è nella vita delle persone ed è lavoro “buono” evita i casi di presa in carico sanitaria e lega lo sviluppo e la realizzazione personale a quella di un’intera comunità. Se è libero, è il più grande strumento di democrazia che possa esistere perché rende autonoma la manifestazione del pensiero, del voto, dell’esercizio di ogni prerogativa individuale. Questa specialità spicca ulteriormente se riguarda i giovani, perchè traccia, disegna il futuro di un popolo per i successivi decenni.
Il tema della occupazione (e disoccupazione giovanile) ha un’urgenza, per le premesse fatte, che lo rende prioritario, oggettivamente.
Mentre gli indicatori del mercato del lavoro migliorano, la disoccupazione giovanile è pari, a sud, a tre volte quella del nord; quella media nel 2023 è pari al 13,4%, nella fascia 15-24 anni è del 22,7%, 10,3% in quella 25-34 anni (i dati sono estratti dal rapporto Eures 2024 per il Consiglio nazionale dei giovani e l’agenzia italiana per la gioventù). Un quadro di questo tipo genera disuguaglianze tra territori, oltre a ipotecare negativamente alcune realtà territoriali che tenderanno sempre di più a spopolarsi per fenomeni di emigrazione giovanile per motivi di lavoro, spesso senza ritorno.
Le piste di lavoro che spetta mettere in campo agli addetti sono diverse, costruendo servizi e politiche attive per il lavoro curvate sull’urgenza del tema e sullo sguardo globale sullo stesso.
Anzitutto il tema non può essere affrontato a pezzi e a compartimenti stagni: la questione lavoro è questione connessa allo spopolamento che già viene alimentato dalla denatalità. Non avere chiaro questo quadro svuota ogni iniziativa sul versante dell’efficacia. La strategia della Regione Puglia di “Mare a sinistra” che in modo integrato affronta il tema della migrazione di ritorno facendo dialogare gli assessorati allo sviluppo economico e al lavoro nella più generale e complessiva strategia di governo regionale è un ottimo punto di inizio per imboccare la strada giusta per il ritorno dei talenti pugliesi nella loro terra e per attrarre tutti coloro che la Puglia ( e tutti i territori a rischio doppio spopolamento per denatalità e assenza di occupazione) la vogliono vivere e popolare.
Poi c’è il tema di come la domanda e l’offerta di lavoro si incrociano. Non è più tempo che tale incrocio sia parcellizzato e affidato a iniziative estemporanee, frammentate, affidate al passaparola e a volte illegali perché in contrasto con il divieto di interposizione di manodopera. La regia di tale incrocio deve essere pubblica nel detenere un luogo unico in cui tutte le offerte di lavoro (anche quelle intermediate da soggetti privati) siano accessibili in un punto unico che in Puglia è il “Portale Lavoro per Te” gestito dall’Assessorato al lavoro e dall’Agenzia regionale Arpal che deve diventare, oltre che unico, tendenzialmente obbligatorio (servirebbe la mano del legislatore regionale e/o nazionale per renderlo tale) per tutti coloro che offrono lavoro. Un modello del genere garantirebbe efficacia, trasparenza, libertà, prevenzione dell’interposizione fittizia e millantata e controllo diffuso sul mercato del lavoro (anche sul livello delle paghe in considerazione della presenza diffusa della mano pubblica attraverso i centri per l’impiego). Tanto basterebbe ad assottigliare notevolmente la disoccupazione (giovanile e non) visto che il portale vede offerte che non trovano lavoratori interessati e imprese in affanno sul versante produttivo (fenomeno omogeneo a nord e al sud del Paese).
Infine c’è il tema culturale su cui tutti dobbiamo riflettere, a partire dalle istituzioni educative e dalle famiglie: il lavoro è sudore e l’esperienza lavorativa è un valore non solo per la “paga” ma prima di tutto perché orienta il futuro del lavoratore, specie quello giovane e alla prima esperienza. Ho sentito tante volte in questi anni genitori e ragazzi che sceglievano il “no” ad un lavoro in funzione dello sforzo e della paga (giusta ed equa, ma insufficiente a compensare la sottrazione di tempo “libero” generata dal lavoro. Ma quanti davvero considerano tra i fattori da valutare anche il valore di iniziare la propria anzianità contributiva prima possibile per non trovarsi anziani e malandati ad età avanzata senza le forze per raggiungere i requisiti contributivi? O il fattore di poter contribuire da subito al versamento dei contributi previdenziali per alleviare il carico delle casse pubbliche che con un andamento come quello attuale rischia di garantire pensioni da fame proprio a quei giovani che di questo fattore oggi non si interessano? O, infine, il fattore che lavorare stimola idee nuove sul lavoro che davvero vorremmo?
Immagine in evidenza di Janno Nivergall da Pixabay