Foto di Madlen Deutschenbaur da Pixabay
Circa 35 anni fa iniziavo il mio ingresso nella Scuola Elementare di Cellino San Marco, un paesino della Provincia di Brindisi, molto vitale, oltre ad essere notissimo per aver dato i natali ad Al Bano Carrisi. Eravamo oltre 120 alunni a iniziare il percorso scolastico.
25 gennaio, termine finale per le iscrizioni agli Istituti scolastici: 45 alunni per la prima classe della scuola primaria, 23 alunni per la prima classe della scuola dell’infanzia.
Il dato, purtroppo, non è quello isolato di un paesino del Sud, ma è lo specchio di quello che accade in Italia da molto tempo.
Generare, mettere alla luce un figlio è frutto della volontà di un uomo e di una donna di costituire una famiglia, cellula della società, “società naturale” come la definisce la nostra Carta Costituzionale. Una volontà così impegnativa per il futuro in favore di un essere fragile da sostenere e far crescere, ma anche per quello dell’intera società. Un impegno che richiede una forte motivazione, un enorme affidamento sul futuro che lo Stato non ha favorito, se non a colpi di bonus e di palliativi vari.
L’espressione più in voga per descrivere il fenomeno è inverno demografico, non basta però a rendere l’idea di una realtà drammatica che porta spopolamento, squilibri economici, destabilizzazione del sistema di welfare e assistenziale.
L’avvento (crisi di governo permettendo) dell’Assegno Unico per figlio è una decisiva e positiva inversione di rotta per favorire la natalità. Un inizio importante per costruire quella percezione “sicura” di futuro che spinge gli uomini e le donne a dire si all’investimento umano, emozionale ma anche economico, più importante per l’esistenza individuale e collettiva di ogni cittadino.
Se l’assegno unico è un notevole inizio in questa direzione, altrettanto importante è costruire un nuovo e complessivo sistema di welfare natality friendly.
A cosa serve chiedere più posti nido, se nel frattempo le nascite calano? A cosa serve chiedere più fondi per avere più scuolabus se gli alunni calano? A cosa serve pensare a un sistema di welfare che sostiene i più piccoli, se non si associa lo sguardo lungo e penetrante sul futuro, affinchè la popolazione più giovane non cali sempre di più?
Siamo dinanzi a un Paese sostenuto da alcune forze sociali, che vogliono curare l’ipermetropia di chi vede un sistema di welfare carente, senza curare la miopia di chi non vede che senza una forte inversione di tendenza dei numeri sulla natalità, le risorse per le pensioni saranno sempre meno (e gli anziani potranno sempre meno essere da ammortizzatore sociale per figli e nipoti), avremo asili nido semivuoti, necessiteremo di un sistema di welfare molto diverso da quello attuale, costruito sui servizi per gli anziani e i non autosufficienti (già oggi carente e spesso inadeguato e che in futuro sarà sempre più carente di risorse dell’erario essendo la popolazione giovane e attiva sempre di meno). Un cane che si morde la coda.
Un sistema di welfare natality friendly punta invece sul potenziamento del sistema di sicurezza sociale o meglio sul potenziamento della percezione che i cittadini hanno del sistema di welfare e di sicurezza sociale per non scoraggiare mai più il desiderio di vita che una coppia possiede nel suo intimo. Ciò significa assegno unico per figlio, certezza del sostegno dello Stato in caso di perdita del lavoro che garantisca la dignitosa esistenza dei figli, presenza dello Stato in tutte quelle situazioni ad oggi prive di tutela sostanziale (come il sostegno stabile e non palliativo alla famiglia nei casi di emigrazione sanitaria per malattie pediatriche gravi).
Pochi esempi per rappresentare le differenze tra un sistema di welfare che cura l’ipermetropia di chi non vede i problemi del momento, rispetto a chi vuole occuparsi anche della miopia di chi non va oltre il naso. La natalità è il discrimine su cui saggiare la capacità del nostro Paese in tal senso. La fiducia è tanta e la speranza pure, ma solo se il tema è centrale e non uno dei tanti; anche perché, il futuro di un popolo, li associa tutti.