Basterebbe un tratto di penna del legislatore per affermare il principio che l’attività sanitaria privata può realizzarsi a condizione che consenta a richiesta dell’azienda sanitaria il soddisfacimento preventivo di un numero di prestazioni “x” a prezzo prestabilito fino allo smaltimento delle liste d’attesa
Tra i comportamenti peggiori, perché oggetto di maggiore biasimo e disvalore sociale, attribuibili all’essere umano, c’è quello dell’omissione di soccorso. Comportamento disdicevole di chi accorgendosi di una difficoltà grave altrui e dell’incapacità ad autoprovvedervi, anziché soccorrerlo, rimane indifferente.
Non è solo un comportamento eticamente disdicevole, ma in determinate condizioni è reato, punito dall’art. 593 del codice. La ratio è chiara: i confini del nostro io devono per legge (laddove l’etica individuale e collettiva non ci arriva da sola) essere allargati alla sfera di chi è in grave difficoltà, di entità tale da necessitare appunto di soccorso.
Ma proprio la ratio, provando a proiettarla sulle tante difficoltà gravi degli esseri umani che vedono arrocata nel proprio recinto l’indifferenza di tanti (Istituzioni comprese), ci interroga sul disastro etico ed educativo che viviamo. Etico, per l’inciviltà che tali fatti esprimono. Educativo: perché tale inciviltà è la peggiore lezione di indifferenza all’altro che tali fatti insegnano. Un esempio per tutti.
Le liste d’attesa in sanità, naufragio di civiltà (per usare l’espressione utilizzata da Papa Francesco a Marsiglia di recente), venduto come una questione di modello organizzativo più o meno funzionante, dando falso nome all’omissione di soccorso di migliaia di cittadini, i più poveri, perché chi ha le risorse economiche un’alternativa riesce invece a trovarla. Lo Stato si arrocca sull’insufficienza di risorse umane, spesso le stesse che svolgono attività libero professionale e minacciano di andare altrimenti nel privato. Il privato invoca il diritto di fare utili e di godere delle inefficienze del settore pubblico. Sindacati e ordini professionali a volte sono tentati di invocare i diritti dei professionisti e dei lavoratori, gli stessi che svolgono attività libero professionale.
Ma il bene salute a chi appartiene? E chi lo deve tutelare se non lo Stato che ha il potere di limitare l’iniziativa economica privata ai sensi dell’art. 41 della Carta Costituzionale? Basterebbe un tratto di penna del legislatore, anche costituzionale, di quello che ha giurato fedeltà alla Costituzione, per affermare il principio ad esempio che l’attività sanitaria privata (in quanto impatta con il bene pubblico della salute individuale e collettiva) può realizzarsi a condizione che questa consenta a richiesta dell’azienda sanitaria il soddisfacimento preventivo di un numero di prestazioni “x” a prezzo prestabilito fino allo smaltimento delle liste d’attesa, con buona pace di chi pensa che la sanità privata può avere successo sulle disgrazie (a volte volute) del pubblico e non perché eccelle a prescindere. E con buona pace dei professionisti medici che hanno dimenticato il giuramento di Ippocrate.
L’esponente di spicco della scuola di indifferenza sotto l’egida del falso nome di inefficienza del mercato per nascondere quella delle omissioni di soccorso del nostro Paese, è l’iniziativa economica privata per come si è evoluta negli ultimi anni, esasperando l’aspetto speculativo e dimenticando il suo fine sociale. È forse arrivato il tempo che lo Stato si riappropri del proprio ruolo regolatore, totalmente assente nelle liste d’attesa in sanità, nella totale assenza di controllo del caro carburanti e dell’energia, dei tassi d’interesse, dei costi delle telecomunicazioni. Qualunque sia il governo in carica!
Ma chi è terzo tra Stato e mercato, il terzo settore (e tutti i corpi intermedi della società civile, Sindacati compresi) che ruolo vuole giocare nella prateria della tutela dei diritti sociali? Limitarsi alla ritualità del ruolo di gestore e animatore dei modelli assolutamente meritori ma di nicchia dell’economia civile, o essere promotori, titolari, propulsori di un modello di economia sociale che attraversa tutti i settori dello sviluppo economico senza la paura di perdere terreno nello scarno recinto a cui è stato relegato, falsamente appagati da 5×1000, gestione Patronati e Caf e qualche agevolazione fiscale ed economica? L’immobilismo nell’aggredire il perimetro dell’istituto della cooprogettazione voluto dal Codice del Terzo settore e la ancora costante attenzione a bandi e gare d’appalto non va certo nella direzione auspicata. Il tempo per virare la rotta e smentire la tesi è poco, ma c’è ancora, anche perché la giurisprudenza costituzionale, quella amministrativa e il legislatore del codice degli appalti lo ha anticipato!
Foto in evidenza di: fernando zhiminaicela da Pixabay