Se ti ammali o sei fragile, la salute e il benessere non è uguale per tutti, ma dipende da dove vivi. Allora mi chiedo: se il “prestazionismo” diventasse la strada risolutiva? Un fondo unico nazionale da ripartire alle regioni secondo le prestazioni che il cittadino residente nella propria Regione riceve (ovunque vengano erogate) in un regime che resta di libertà di cura
Più volte ho sostenuto che il prestazionismo, cioè l’idea per cui il cittadino si aspetta dallo Stato singole prestazioni a soddisfazione dei propri bisogni e per cui lo Stato eroga bonus, assegni le risposte parcellizzate anziché interventi sistematici, globali e non a compartimenti stagni, fosse la strada sbagliata per occuparsi dei cittadini, in particolare di quelli fragili. Quasi una strada diseducativa, oltre che inappropriata nel prendere in carico i problemi della gente.
Il dibattito sul regionalismo differenziato/federalismo induce però a rileggere la logica della prestazione come una soluzione.
È noto che il riparto del fondo sanitario nazionale tiene conto di più dimensioni e parametri, tanto è che la Puglia ha gli stessi abitanti dell’Emilia Romagna, ma somme a disposizione enormemente più basse per i cittadini amministrati, che diventano ancora più basse se aggiungiamo che la ricchezza di un territorio (e quindi di tasse e imposte che quel territorio produce) rende più o meno ricco il sistema di governo locale che deve erogare i servizi. Fino a qui nulla di nuovo sotto il sole e la necessaria conclusione ovvia che se ti ammali o sei fragile, la salute e il benessere non è uguale per tutti, ma dipende da dove vivi (e anche da dove sei nato, per il “retroterra” che ti porti appresso che incide sulla tua speranza di vita).
Intonava Domenico Modugno e molte volte intona il Maestro Al Bano Carrisi la musica e le parole di quell’amara terra mia che vivono tutti coloro che vivono in condizioni di svantaggio, correndo la corsa ai 100 metri, partendo però 50 metri dietro la linea di partenza.
Da ingenuo pensatore mi domando: ma se il Paese è uno e la torta da ripartire è a disposizione di tutti, in nome della nostra bellissima, elogiata e incontestata Costituzione che recita a più riprese l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, al bisogno di assistenza sociale e sanitaria, al diritto di curarsi e alla libertà di cura, perché nonostante i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie e sociali dinanzi ai quali siamo tutti uguali, siamo invece molto diversi?
E perché se la libertà di cura mi consente di scegliermi l’ospedale in cui curarmi, la mia emigrazione diventa alla lunga la condanna dei miei figli che vedranno impoverito il territorio di partenza dell’emigrazione sanitaria a vantaggio delle strutture di eccellenza che si arricchiscono e lasciano sempre più indietro dalla linea di partenza che era già 50 metri dietro?
La risposta non necessita di essere esplicitata ed è tutta nel solco della certificazione di morte del principio di uguaglianza, che tutti indigna, nessuno smuove e neanche ingegna. La soluzione all’ingenuo pensatore appare però semplice e lineare e balena facilmente alla mente: e se il “prestazionismo” diventasse la strada risolutiva?
Fondo unico nazionale da ripartire alle regioni secondo le prestazioni che il cittadino residente nella propria Regione riceve (ovunque vengano erogate) in un regime che resta di libertà di cura. Se il paziente “emigra” in una struttura fuori Regione per farsi curare, la prestazione è scontata per la Regione di provenienza in considerazione dei costi della migrazione a carico della famiglia (viaggio,costi degli accompagnatori, disagio delle famiglie, mancati introiti alle strutture del territorio che avranno meno risorse per investire ed eccellere, ecc.).
Una banale proposta basata sulla legge del commercio per cui chi ti manda i pazienti (la Regione di provenienza) merita almeno una provvigione, una royalty sociale, non addirittura una penalizzazione. Son cosciente del tono provocatorio del testo, ma non lo è ugualmente per le nostre coscienze ed intelligenze l’ipocrisia di chi si dichiara attento alla solidarietà sociale (nessuno mai nel dibattito pubblico l’ha mai negata) e poi fa finta di non comprendere che sistemi sanitari più o meno dotati di risorse e infrastrutture, significano negare l’uguaglianza non tra enti pubblici, ma tra uomini e donne nati con gli stessi diritti?
La ricchezza di un essere umano può differenziarsi in base al merito e alle capacità, ma senza lasciare nessuno mai senza il minimo vitale, ma sulla salute non può fare la differenza, né la ricchezza individuale, né quella collettiva che produce il governo del proprio territorio, altrimenti non siamo federalisti ma cannibali sociali. Pensieri stonati, dell’ingenuo pensatore dell’amara terra al limite dell’esasperazione, anche se il vero amaro è quello lasciato in bocca dalla carne sbranata dai cannibali 2.0 ribattezzati federalisti.
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