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Cittadini, sicurezza, salute e lavoro

 

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Il valore educativo della “terapia” del sudore

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Foto di Anna da Pixabay

Il welfare italiano è passato, negli anni, dall’essere fanalino di coda in Europa, privo fino a pochissimi anni fa di una misura di contrasto alla povertà, a progettare (grazie all’input determinante del Terzo Settore e di una illuminata classe accademica, che ha vissuto in quella stagione il più alto tasso di politicità dell’ultimo ventennio) raffinate prese in carico nazionali e anche regionali (come la Puglia ha fatto ampiamente scuola con le sue edizioni del “Reddito di dignità”) della condizione di fragilità economica e sociale dei cittadini.

Questo percorso ha significato una spesa assestata di circa sette miliardi di euro annui, al netto delle misure regionali. Essersi occupati di un tema di tale cogenza è certamente un merito della classe politica che si è assunta tale responsabilità, a cavallo degli ultimi governi che si sono succeduti.

Non bisogna però sottacere la ratio della scelta che, in sintesi, si fonda sulla presa in carico integrata del cittadino fragile e multiproblematico e sulla natura non assistenziale della misura, se non nella immediata presa in carico. Ciò significa, per i non addetti ai lavori, che un cittadino “povero” va sostenuto economicamente, ma nel contempo i servizi di welfare si devono occupare di lui globalmente (e del suo nucleo familiare) perché quella condizione di povertà sfumi e scompaia, affinché la cosiddetta trappola della povertà venga neutralizzata e liberi il cittadino interessato dalla sua condizione originaria di disagio.

A ciò consegue che la prestazione economica è uno degli interventi, a cui seguono le politiche attive del lavoro per il reinserimento lavorativo e quelle di supporto al nucleo familiare (per esempio, ove il bisogno fosse conclamato, interventi di assistenza domiciliare educativa per i minori o attività di supporto alla genitorialità, etc.). Non da ultimo, a un impegno dello Stato con massicce risorse pubbliche, deve corrispondere l’impegno del cittadino a restituire alla comunità (finanziante) servizi utili alla collettività.

La declinazione della ratio delle misure, evidenzia tutte le debolezze della sua attuazione concreta. Non si intende ovviamente buttare il bambino con l’acqua sporca, ma l’onesta intellettuale deve chiamare a raccolta tutti per fare un bilancio finalizzato a migliorare l’esistente. Per farlo bisogna aver chiaro che ogni misura di welfare non è mai rivolta al cittadino che la riceve, ma ha con sé un valore educativo, pedagogico popolare. Il primo valore da non sottacere mai è quello insito nell’educazione al sudore, che è uno straordinario vaccino sociale, una sorta di terapia che cura l’anima e il corpo, perché realizza, dà dignità all’essere umano, è esso stesso riscatto sociale.

Non si tratta di essere pro o contro il reddito di cittadinanza, pentastellati o salviniani, democratici o appartenenti alla destra sociale. La povertà non ha bisogno di steccati politici e la “terapia del sudore” non l’ha mai scansata nessuna forza politica. L’unico steccato è tra il giusto e l’ingiusto e chi riceve senza sudare, appartiene alla seconda categoria.

L’affermazione precedente, non può sottacere ovviamente le responsabilità e le prospettive di soluzione.

Le responsabilità e le soluzioni attengono a un sistema pubblico che si deve affrancare dall’assistenzialismo e scegliere la via di un sistema di welfare promotore di sviluppo. Ciò significa “modernizzare” radicalmente il sistema delle politiche attive del lavoro, dove (dati Istat) fa meglio il passaparola, rispetto al costoso sistema pubblico attuale, per non parlare dell’efficientissimo “LinkedIn” di cui inspiegabilmente non si comprende perché medesime tecnologie social non debbano essere mutuate dalle pubbliche istituzioni nazionali e regionali.

Ma significa anche comprendere che l’architettura istituzionale deve integrare le politiche del lavoro a quelle del welfare e della sanità, se è vero che la persona è una, i problemi e le fragilità sono tante e multidimensionali, la salute è una, globale e non a pezzi (definizione OMS). E significa altresì per gli enti locali virare la rotta e acquisire quella capacità progettuale che alla prova dei PUC (Progetti utili alla collettività) non ha retto benissimo ed è restata nella logica dell’adempimento e, auspichiamo, alla più impegnativa prova della cooprogrammazione delle politiche e cooprogettazione dei servizi prevista dal Codice unico del Terzo Settore, trovi esiti migliori.

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Gianluca Budano

Welfare manager pubblico, esperto in materia di politiche socio-sanitarie, ha diretto numerose amministrazioni pubbliche, anche in funzione di sovraordinato del Ministero dell’Interno in Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Co-Portavoce nazionale di Investing in Children – Alleanza per l’inclusione e il benessere dei minori in Italia, già Consigliere di Presidenza Nazionale ACLI, Consigliere di Amministrazione di Terzjus – Osservatorio Nazionale di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale, componente del Direttivo Nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, dirigente di Avviso Pubblico – Associazione di Enti Locali e Regioni contro le mafie.