Per fermare lo Stato che moltiplica le fragilità
Oggi a Roma la Commissione europea e l’Italia, in qualità di presidente del G20, ospita il vertice mondiale della salute. L’incontro incrocia le lezioni della pandemia e le soluzioni emergenziali e di prospettiva che interessano la salute globale. Ma lo stato dell’arte della salute globale, è veramente quello legato allo “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia” come nella nota definizione data dall’Organizzazione mondiale della sanità?
Se guardassimo al globo, con sicurezza diremmo che la situazione è molto lontana dal traguardo fissato dall’OMS, viste le tante situazioni in cui nemmeno il minimo sindacale delle cure è garantito (si veda l’assenza di banali antibiotici pediatrici in tanti Paesi del cd. terzo mondo, prima ancora dei vaccini).
Ma anche con lo sguardo al caso italiano, con le dovute differenze e senza esasperazioni concettuali, pare difficile parlare di “global health”. L’affermazione trova fondamento nell’analisi del sistema di salute italiano, dove non vi è traccia di un modello improntato all’accesso semplificato (e quindi alla relativa presa in carico integrata) di un cittadino che vive delle fragilità.
Ne è l’esempio lampante quello di un malato che entra in un pronto soccorso, viene ricoverato e curato per la parte sanitaria. Il diario della sua presa in carico viene narrato in una cartella clinica e, quando il sistema sarà a regime, in un fascicolo sanitario elettronico completo. Le condizioni sanitarie di quel paziente, rilevanti anche ad altri fini (per esempio la sua cronicità cardiaca dà diritto ad alcune esenzioni dalla compartecipazione alla spesa sanitaria o quella oncologica anche a prestazioni di tipo economico a cura dell’INPS), già accertate dal sistema pubblico, vanno riaccertate da altri pezzi della Pubblica amministrazione (come le Commissioni mediche per l’accertamento dell’invalidità civile, delle condizioni visive e della sordità o gli ambulatori del servizio sanitario pubblico per il riconoscimento dell’esenzione ticket per patologia) escludendo ogni forma di automaticità delle prestazioni e sancendo la duplicazione degli accertamenti per la medesima condizione, come se le persone fossero due o più di due, anziché una.
Questo stato delle cose, oltre ad avere dell’irrazionale, rappresenta di per sé una nuova patologia, quella da disorientamento del cittadino in un sistema che anziché semplificarsi, in ragione dello stato di fragilità in cui versa, duplica, si complica, si rende difficilmente accessibile.
Con questo quadro, salute globale vuol dire anzitutto semplificazione all’accesso, facendo della semplificazione essa stessa una cura. Uno sportello unico per la salute può essere la soluzione, come abbiamo più volte teorizzato per le famiglie italiane? O solo le attività produttive (con il SUAP) meritano la tutela dell’ordinamento?