Welfare e salute

 

Cittadini, sicurezza, salute e lavoro

 

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Le persone a pezzi e le disumanità legalizzate

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Lo sforzo a far comprendere che è disumano e quindi urgente integrare i servizi per i più fragili è datato ed è notevole. Altrettanto datato e assordante è il silenzio delle pubbliche Istituzioni, che non riescono a interiorizzare nei servizi il concetto di salute globale.

Più volte ho rappresentato come la persona affetta da una malattia o oggetto di una qualunque fragilità, è una (indi non può essere oggetto di prese in carico separate). A fronte di questa unicità a cui corrisponde la conseguente e necessaria riflessione che quella persona è normalmente coinvolta in più problematiche che la affliggono, la risposta dello Stato e della società in generale è invece circoscritta e semplificata, scansando financo l’ovvietà delle situazioni più semplici, ove anche la più banale patologia coinvolge almeno lo stato emozionale del paziente e quindi richiede una presa in carico multidimensionale.

Non è nuovo sentire che gli aspetti sociali della malattia sono marginali e spesso estranei alle cure sanitarie. Ma è anche rituale vedere che il soggetto in stato di deprivazione sociale e materiale con problematiche sanitarie è “stralciato” da ogni contatto con il sistema sanitario. Da qui prese in carico inappropriate, parziali, inadeguate, costose (perché non realizzare l’integrazione socio-sanitaria genera inefficienze, duplicazioni, diseconomie). Tale situazione vede emergere così forme di sanitarizzazione del sociale (l’esempio più noto è quello dell’anziano ricoverato in geriatria in sostituzione di efficienti e meno costosi sistemi di domiciliarizzazione delle cure integrati alla telemedicina o centri diurni o residenziali) e forme di “socializzazione”, “welfarizzazione” della sanità (si veda ad esempio la presa in carico dei servizi sociali dei diversamente abili psichici stabilizzati che richiederebbero specifici e costanti interventi socio-sanitari come home maker psichiatrici e diffusi interventi di inserimento occupazionale).
Per risolvere i problemi, bisogna però profondere lo sforzo di comprenderne le cause.

La cultura amministrativa del nostro Paese non è certo avvezza alla complessità. Uffici adiacenti di uno stesso ente spesso non si parlano, ma si scrivono. Per dirlo con un proverbio della cultura popolare e che rende bene l’idea dello stato delle cose “chi si fa i fatti suoi, campa cent’anni”, il lavoro in equipe e la tendenza a sforzarsi di sentire come propri i problemi di un cittadino e i compiti del proprio collega non è proprio patrimonio peculiare degli italiani.

Se però è tollerabile (e proprio tollerabile non è) una lungaggine burocratica su una pratica edilizia da parte di enti dove la mano destra non sa e non vuol sapere cosa faccia quella sinistra, è totalmente disumano tollerare che nel Paese del miglior sistema sanitario nazionale del mondo – ma anche del fragile sistema integrato di presa in carico sociale – cittadini, che son persone, siano ancora trattati a pezzi, al pari di quello che fa un meccanico con un automobile in panne.

Tale approccio ammazza nella culla anche misure di civiltà come il reddito di cittadinanza, la cui unica pecca non è averlo introdotto affrontando la vergogna dello Stato che non se ne occupava, ma non aver affrontato contestualmente le debolezze del sistema delle politiche attive del lavoro, dando argomenti al partito trasversale dei disfattisti che, a ragione, ritengono uno spreco una misura che offre pannicelli caldi e toppe al contrasto alla povertà, lasciando nella trappola di quest’ultima coloro che hanno beneficiato di questa misura in virtù della loro condizione dalla quale non escono nonostante un investimento cospicuo di risorse pubbliche.

Se questa è in breve l’analisi, è doveroso però tracciare anche le possibili soluzioni. Il PNRR avvia sicuramente una stagione unica. Non perché sia uno strumento miracoloso in sé, ma di certo elimina l’alibi delle risorse che non ci sono e delle strette dell’austerity degli ultimi anni. Una stagione di ricostruzione del globo intero in risposta al dramma che ha colpito il mondo intero, obbliga a risolvere i nodi irrisolti delle società nazionali e offre un peso specifico maggiore alla stagione delle idee.

Rendere unico – come altre volte ho proposto con lo sportello unico per la famiglia e per la salute – l’accesso al sistema delle prese in carico delle fragilità è certamente una strada. Così come occuparsi dei bambini che migrano per patologie gravi garantendo una presa in carico globale di tutto il nucleo familiare, neutralizzando il rischio di povertà educativa del fratellino che resta a casa, dei genitori che rischiano di perdere il posto di lavoro, del piccolo paziente a cui garantire la continuità didattica (e relazionale), è un altro inizio che inspiegabilmente non vede soluzioni se non sporadiche e territorializzate. Sempre in questa direzione c’è da sancire il principio di automaticità di un set di prestazioni standardizzate per malati cronici e gravi a partire dalla prima diagnosi, sgravandoli dalla ricerca dello sportello giusto.

Potremmo continuare a lungo con gli esempi dove, in presenza di chiare e praticabili soluzioni, l’unica spiegazione a tali disumanità di Stato risiede nell’assenza di volontà.

La ricerca e la pratica dell’eccellenza nel singolo frammento del sistema di salute pubblica, se cammina con la consapevolezza di praticarla per rendere eccellente gli altri frammenti utili al benessere del cittadino fragile in cui si realizza il tutto del suo stato di salute vera, è la strada per liberare la società dalla cultura dello stralcio o, per dirla con Papa Francesco, dello scarto, che non significa solo non occuparsi di una parte della società, ma anche occuparsi parzialmente di un fragile, lasciando l’amaro in bocca del sospetto di uno Stato che tende quasi a lavarsi la coscienza, piuttosto che soddisfare i bisogni di tutti e globalmente. È una strada faticosa e complessa, però l’unica all’altezza del valore di ogni vita umana.

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Gianluca Budano

Welfare manager pubblico, esperto in materia di politiche socio-sanitarie, ha diretto numerose amministrazioni pubbliche, anche in funzione di sovraordinato del Ministero dell’Interno in Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Co-Portavoce nazionale di Investing in Children – Alleanza per l’inclusione e il benessere dei minori in Italia, già Consigliere di Presidenza Nazionale ACLI, Consigliere di Amministrazione di Terzjus – Osservatorio Nazionale di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale, componente del Direttivo Nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, dirigente di Avviso Pubblico – Associazione di Enti Locali e Regioni contro le mafie.