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Il Paese ha bisogno di moltiplicatori sociali e di elevatori a potenza, tra welfare, sanità e sviluppo
Ce lo insegnano fin dalle elementari: con l’addizione si aggiunge, con la sottrazione si toglie, con la moltiplicazione si, appunto, moltiplica e, con la divisione, si distribuisce.
Se dovessimo utilizzare le categorie delle operazioni fondamentali dell’aritmetica per applicarle all’utilizzo delle risorse pubbliche, certamente l’addizione non si addice molto, non fosse altro per il suo essere commutativa, per cui cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia. La commutatività renderebbe inutile le scelte pubbliche, anche se aggiungere (così come sottrarre) a volte è una delle scelte che compiono le classi di governo a tutti i livelli, specie nel vortice di chi opera nell’ordinarietà.
Certo è che determinate risorse, specie quando hanno natura straordinaria, di ripresa e resilienza, siano esse quelle dedicate al welfare in generale o al PNRR, per essere utilizzate con il massimo dell’efficacia, devono rispondere alla logica della moltiplicazione, se non proprio a quella dell’elevamento a potenza, per “n” esponenti che tendono all’infinito.
Scrive Chiara Valerio nel 2020 per Giulio Einaudi Editore che “La Matematica è politica”, perché le ha “insegnato a diffidare di verità assolute e autorità indiscutibili”, perché “come tutti i processi creativi non sopportano di non cambiare mai”, valorizzando la madre della matematica che è la filosofia. È vero pure che la matematica (l’aritmetica in particolare) è fondata sulla certezza dei numeri, che racchiudono nella loro logica elementare, raffinatissimi concetti che la politica e più in generale l’Istituzione dovrebbe mutuare.
Chi somma nelle politiche e nei servizi pubblici, elargisce un contributo a un meno abbiente e non fa altro.
Chi divide nelle politiche e nei servizi pubblici, divide un budget per gli indigenti del proprio territorio di competenza.
Chi sottrae, non utilizza criteri omogenei nel distribuire quei contributi, togliendo a un povero per dare a un altro povero o, peggio, per dare a chi non ha diritto di ricevere quel beneficio.
Chi moltiplica, conosce l’indigente e costruisce intorno a lui e al suo nucleo familiare un piano personalizzato, in cui associa a una prestazione monetaria un set di servizi per farlo uscire dalla povertà (per sempre) e per tutelare quel nucleo familiare. E così un euro impiegato si moltiplica e non si esaurisce in una spesa puntuale.
Chi eleva a potenza, dopo aver moltiplicato la prima volta, chiede a quel nucleo familiare di restituire in servizi alla comunità quello che ha ricevuto dalla collettività, affrancando se stesso e la propria famiglia e restituendo molto di più di quello che ha ricevuto.
Lo stesso vale per il Piano di ripresa e resilienza.
Chi somma, le 1288 “Case della Comunità” previste dal PNRR le aggiunge agli ospedali classici e a quelli di comunità, tutto a trazione sanitaria con una spolverata di welfare. Risultato, forte rischio di sovrapposizioni e se va bene aumentano i servizi per i cittadini, con l’integrazione socio sanitaria che resta una chimera, nonostante 21 anni abbondanti di anzianità della Legge 328 del 2020.
Chi sottrae, concentra ospedali classici, di comunità e case della comunità, tutti in un luogo, in nome della semplificazione e dell’unicità del punto di accesso.
Chi divide, spalma queste strutture su più territori, migliorando la diffusione dei servizi e non escludendo i piccoli centri. Ma è noto che, con risorse date, o c’è qualcosa per tutti o il principio di formale uguaglianza va in soffitta già in partenza.
Chi moltiplica costruisce una morfologia del sistema dei servizi, con una base per tutti, compresa la comunità montana con 15 abitanti e dota ogni cittadino della possibilità di accedere con trasporto sociale, telemedicina e ambulatori diffusi, a tutti i servizi e all’eccellenza degli stessi.
Chi eleva a potenza, dopo aver moltiplicato la prima volta, rende centrali tutte le periferie della sanità, come i consultori familiari e le istituende case di comunità, i primi periferici conclamati e le seconde candidate ad esserlo, schiacciate tra ospedali regionali, di primo livello, di secondo livello e di comunità. Come? Valorizzando la loro natura strategica quale leva della salute di prossimità, dandogli una trazione sociale e non sanitaria, gestite dal welfare territoriale (gli Ambiti Territoriali paiono avere la dimensione giuridica e territoriale più adeguata).
Se poi il Terzo Settore diventa il soggetto con cui progettare questi nuovi presidi, l’elevamento a potenza diventa, direbbero i matematici, con n= infinito e l’efficienza della spesa e dell’opera umana diventerebbe massima, con una cambio di paradigma vero.
I nostri antenati quando hanno ricostruito (vedi i dopoguerra) sono stati maestri dell’elevamento a potenza, nella costruzione dello sviluppo economico e del benessere sociale. Ma oggi invece, con l’occhio alla storia che insegna, al presente che viviamo e proiettati al futuro che svariati miliardi di euro hanno disegnato per la ripresa e la resilienza, sommiamo, sottraiamo, dividiamo, moltiplichiamo o eleviamo a potenza? O più semplicemente e drammaticamente, non abbiamo voglia di studiare la matematica?