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La rassegna delle ovvietà irrisolte: figli e figliastri nel Paese che non fa i conti con la realtà

da

Foto di Vidal Balielo Jr.: Pexels

Primo episodio del Truman Show politico all’italiana: intramoenia dei medici nel sistema sanitario fintamente universale

Cantava Franco Battiato in un memorabile pezzo, una splendida canzone d’amore individuale e collettiva nello stesso tempo, intitolata “La cura”, che l’essere uomo è un essere speciale e in virtù di questo “avrò” (avremo) “cura di te” (di tutti).

Che l’essere umano sia speciale è oggettivo. Lo è nel suo genere perché unico nella sua rappresentazione di un corpo complesso associato a un’anima che lo avvolge. Ma è poi anche unico nel singolo individuo: ognuno di noi è diverso, appunto unico, nelle sue caratteristiche, nelle sue potenzialità, nelle sue fragilità, nel suo carattere, ecc. Unicità, specialità, individuale e collettiva, dell’essere umano che fonda il paradigma su cui costruire il modello di Stato in cui vive, la cura che questi gli deve riservare, individualmente e collettivamente. Sì, individualmente perché ogni essere umano ha diritto di essere curato, preso in carico nelle sue malattie, fragilità, difficoltà che non riesce a risolvere da sé; collettivamente, perché un sistema di cura passa anche per interventi diffusi che incidono su tutti e ciascuno, come la cura dell’ambiente, la prevenzione e protezione che passa per le vaccinazioni, l’istruzione che non accresce (come ci insegnano gli studiosi) solo la cultura di un popolo, ma anche il suo livello di preservarsi dalle malattie (la popolazione meno istruita è potenzialmente più esposta alla morbilità, perché per esempio assume stili di vita scorretti ed è priva di strumenti culturali adeguati sul versante della prevenzione).

Pensando alla cura, si pensa in prima battuta alla sanità. Ma la cura non è solo sanitaria, clinica. Scrivo ormai fino alla nausea da molto tempo che gli aspetti sociali delle malattie, i grandi trascurati dall’attenzione pubblica dello Stato, sono essenziali a una guarigione. Lo dimostra il tema delle migrazioni sanitarie, dove lo Stato si dimentica che non basta un ottimo intervento per guarire il paziente, se questi e il suo nucleo familiare si ammalano anche di precarietà esistenziale (povertà economica indotta dalla malattia di un familiare, povertà educativa di un figlio che ha un genitore malato, cesura con il mondo del malato che si sgancia ad esempio dal contesto scolastico e delle relazioni sociali, ecc.).

La premessa di questo post a me pare una sorta di rassegna delle ovvietà e se non avessi una discreta considerazione di me stesso e degli studi personali e di tante menti illuminate che la pensano come me, dovrei sentirmi un po’ ridicolo nello scrivere quello che scrivo. Il contesto che viviamo infatti assomiglia a un Paese che non fa i contri con la realtà, una sorta di atmosfera da Truman Show, dove tutto continua come se niente fosse nei confini di un set cinematografico dove gli attori non sanno di essere attori e dove gli spettatori non sanno di essere essi attori protagonisti (cittadini elettori), con la particolarità che non c’è nemmeno un regista (come nel film originale) che lucidamente si rende conto di un Paese dove la questione sociale è una bomba ad orologeria, dove l’evasione fiscale nessuno la vuole (tutti la conoscono) e tanti la praticano indisturbati, dove tutti si sentono coscientemente legati alla cultura “militare” ed etica che la nave non si abbandona, abbandonandola però quotidianamente tutte le volte che non ci indigniamo davanti alle ingiustizie e alla inerzie della macchina pubblica.

Con questo post inauguro una breve rassegna delle ovvietà, per scoperchiarle e per risolverle, nell’alveo della cultura di chi denuncia per risolvere i problemi, non per performance “artistica”.

Il primo episodio della rassegna delle ovvietà irrisolte: l’intramoenia dei medici del servizio pubblico o finanziato dal pubblico, in vigenza delle lunghe liste d’attesa per i più poveri. È il sistema che consente ai medici del servizio pubblico di esercitare la libera professione, tra le rarissime eccezioni per i dipendenti pubblici che hanno norme molto restrittive se devono svolgere attività esterne, in virtù di un potenziale conflitto di interesse, anch’esso appartenente alla serie dei fatti scandalosi del Paese Italia che non vuole fare i conti con la realtà.

Sì, non vuole proprio fare i conti con la realtà, perché non solo privilegia una professione a differenza di altre, ma chi non ha i soldi per pagarsi una visita privata, dovrà sorbirsi lunghe liste d’attesa presso gli stessi medici che hanno il tempo di fare attività libera e che in virtù del loro ruolo pubblico hanno la strada spianata per una clientela più vasta. Ci vuole molto a vietare a chi vive dei soldi pubblici (medici del servizio pubblico e del sistema sanitario privato accreditato) a svolgere attività libero professionale, almeno prima di aver dimostrato di aver smaltito le liste d’attesa della struttura in cui operano? Del resto già questo rappresenterebbe un trattamento di favore, se si pensa che oggi, per legge e per buon senso, qualunque dipendente della Pubblica Amministrazione non può svolgere la libera professione se è di ruolo e a tempo pieno nella PA. E non ci vengano a dire che questo alimenterebbe la fuga dei medici verso la sanità privata, perché un divieto di tal genere rivolto alle strutture pubbliche o convenzionate con il pubblico, ridurrebbe il mercato libero a poca cosa. Del resto nessuno esclude che chi ha tempo per la libera professione, quel tempo possa dedicarlo al suo datore di lavoro pubblico o finanziato dal pubblico, anche incentivato economicamente. E poi viene prima il diritto alla salute di tutti, o la compressione della libertà di iniziativa economica deve essere decompressa perché conta di più del diritto alle cure di migliaia di cittadini in lista d’attesa, nel Paese che si dichiara e si vanta di essere titolare di un sistema sanitario per tutti?

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Gianluca Budano

Welfare manager pubblico, esperto in materia di politiche socio-sanitarie, ha diretto numerose amministrazioni pubbliche, anche in funzione di sovraordinato del Ministero dell’Interno in Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Co-Portavoce nazionale di Investing in Children – Alleanza per l’inclusione e il benessere dei minori in Italia, già Consigliere di Presidenza Nazionale ACLI, Consigliere di Amministrazione di Terzjus – Osservatorio Nazionale di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale, componente del Direttivo Nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, dirigente di Avviso Pubblico – Associazione di Enti Locali e Regioni contro le mafie.