Foto di mohamed Hassan da Pixabay
La fuga dai sensi di colpa individuali e collettivi e l’etica a buon mercato. Seconda e ultima parte
Come esiste la felicità a buon mercato, di cui abbiamo parlato nella precedente riflessione, frutto malato e nocivo della rivoluzione antropologica in atto, esiste anche l’etica a buon mercato. È quel fenomeno diffuso nella società in cui si moltiplicano codici di condotta, modelli, carte, elaborati testi, ecc, quando basterebbe lavorare sulla consapevolezza che amare il prossimo (che non è frutto della “dottrina” cattolica, ma quanto di più straordinariamente e semplicemente naturale) basterebbe a rendere la nostra esistenza individuale e sociale abbondantemente etica. Tutto sta se ognuno di noi vuole o meno superarsi.
Ci si supera nella vita, ad esempio, se si lavora a costruire reti e non ragnatele, finalizzando l’impegno, che può essere riferito alla famiglia, alla società, al proprio ambiente di lavoro, ecc a costruire un sistema di bene in cui ciascuno possa essere messo in condizione di realizzare la propria umanità, con un obiettivo molto più carico di responsabilità, rispetto a chi pensa di risolvere i problemi di tutti (utopisticamente e demagogicamente), per scoprire di non aver risolto quelli di nessuno. La scelta non è indifferente. Infatti la ragnatela è ad appannaggio del ragno, la rete appartiene a tutti coloro che condividono l’obiettivo comune del bene di tutti e di ciascun nodo. La ragnatela impiglia qualcuno, anche a soli fini difensivi, la rete libera energie ed è tesa a costruire e non a difendere un fortino.
Ci si supera nella vita se l’errore genera senso di colpa e se da quel senso di colpa se ne trae un insegnamento, una forma di riparazione che dal travaglio genera qualcosa di migliore di quello che è stato. La felicità a buon mercato che assedia di tentazioni il nostro tempo e di cui abbiamo già parlato ampiamente nel precedente pezzo, si abbina alla disinibizione, al disincanto generalizzato che oggi domina e trova nei social la schizofrenica vetrina delle nostre intimità, a cui tutti siamo sottoposti. Ma trova anche espressione nel trovare sempre la colpa in qualcun altro e sempre meno in se stessi, nel proprio pensiero statico, nelle proprie comode convinzioni.
Ci si supera tutte le volte in cui mettiamo talmente da parte noi stessi per i nostri cari, per il prossimo, per la nostra comunità, che ci accorgiamo invece di essere stati primi attori di una pagina sconosciuta di santità quotidiana. La dimensione è sempre individuale e sociale, propria ma anche collettiva. Appartiene alle nostre vite, ma anche alla politica, quale forma di carità più alta, come ci insegnava Paolo VI, e la carità è relazione, è rete, è condivisione, non si compie nel rapporto tra un donatore e un ricevente, ma chiede di diventare riconoscimento e scambio reciproco, come ci ricorda fra Massimiliano Patassini, Direttore del “Messaggero di Sant’Antonio” nel suo ultimo editoriale.
In questa stagione così difficile per l’umana esistenza, in cui l’aggressività raggiunge istinti animaleschi e primitivi come è accaduto per il povero Alika a Civitanova Marche, dove la gravità sta nel brutale omicidio, ma anche nella ricerca di macabre emozioni, sempre a buon mercato e veicolate dai social, quando il tempo di quel video poteva essere impiegato a salvare quella giovane esistenza, urge un serissimo esame di coscienza, a cura di tutti e senza esclusioni o esenzioni di sorta.
La politica e la società, non danno, purtroppo, insegnamenti in contro tendenza. È arrivato il tempo dei sensi di colpa di chi scende da un auto inveendo per un colpo di clacson di troppo, dando spettacoli educativi indecenti che contaminano negativamente una popolazione. È arrivato il tempo dei sensi di colpa di chi grida e inveisce verso l’immigrato e il clandestino. È arrivato il tempo dei sensi di colpa di chi in nome di presunti diritti sociali ed esistenziali, parla di fine vita, di aborto e di divorzio, come se fossero scelte solo individuali e pari alla vittoria di uno scudetto in serie A. È giunto il tempo di fermarsi e concentrarsi alla nostra dimensione di uomini e donne su cui si fonda una società, per fare del travaglio dei sensi di colpa individuali e collettivi, occasioni di crescita e di progresso autentici. Del resto se guardassimo alle nostre origini, quelle della vita, ci accorgeremmo facilmente che nel travaglio delle nostre madri si genera il miracolo più grande e più felice di sempre, parabola di sofferenza e disagio che annida le grandi felicità.
Spesso negli ambienti religiosi ascoltiamo e ripetiamo “Sia fatta la tua volontà!”. Tutti noi lo riferiamo alla religiosità e al suo essere fondante della fede. A ben guardare può essere però la più grande chiave di volta laica che la nostra psiche può abbracciare in questi difficili tempi che viviamo, perché in una breve espressione di invocazione, dà il senso e la carica vitale che non siamo soli e che il nostro vivere è tutto, per diventare però vuoto ed effimero, quando si riduce alla nostra sola individualità.