Ci sono leggi pregresse da applicare su sanità, istruzione e welfare. Vediamo come
La riforma strutturale dell’organizzazione dello Stato (cd. autonomia differenziata) interroga decisori politici e studiosi sull’impatto che questa può avere sulla soddisfazione effettiva (e non teorica) dei livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni sociali in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale.
Anzitutto va premesso che Lea e Leps si inseriscono, anche laddove uniformemente soddisfatti, in condizioni territoriali disomogenee, perché disomogeo è il gettito fiscale e quindi i trasferimenti di cui in particolare le amministrazioni locali dispongono e disomogenee sono le condizioni “di partenza” da cui ogni territorio parte. Se la speranza di vita e di mortalità in culla è diversa tra territori del centro nord e territori del centro sud, non è questione solo di LEPS o di LEA più o meno formalmente traguardati ma di condizione di contesto su cui più fattori, più determinanti della salute (Dahlgren and Whitehead, 1993) agiscono e interagiscono. Determinanti della salute sono per la dottrina consolidata (quindi per la scienza) gli stili di vita individuali e collettivi, i fattori costituzionali, età, genere, livello di istruzione, condizioni di lavoro, capitale sociale e relazionale, coesione sociale e territoriale, ecc. Lea e Leps non fanno una sintesi di tali determinanti, ma sono limitati per definizione perché si rapportano al perimetro per il quale sono stati “configurati” (sanità e welfare) e non al complessivo benessere sociale, fisico, psicologico, economico su cui si fonda il concetto di salute globale su cui l’Oms ha costruito la definizione di salute qualche decennio fa (pesantemente inattuata nelle scelte degli ordinamenti statali).
Il realismo e il diritto ci insegnano però che le norme sono norme e in quanto tali vanno rispettate (pur non essendo dogmi) e lo sforzo/esercizio degli studiosi e degli interpreti (cittadini e corpi intermedi compresi) deve essere quello della “moderazione etica” di qualunque cambiamento, per riprendere la magistrale e umanissima espressione usata dal Santo Padre a proposito dell’intelligenza artificiale in seno alla riunione del G7 in Puglia.
Il risultato di un esercizio di questo tipo può essere quello di valutare una primissima moderazione etica dell’autonomia differenziata, se proprio il decisore politico non volesse rivederne l’impianto precedendo il tutto con un disegno chiaro/un piano di propedeutica messa in pari dei territori prima di farli correre e competere. Tale primissima moderazione potrebbe essere quella di “utilizzare” l’amministrazione condivisa quale strumento di moderazione etica che esclude almeno per sanità, istruzione e welfare che tali settori possano essere oggetto dell’attenzione del profit selvaggio. Tale input può essere oggetto di una norma nazionale ma anche di una norma regionale ma anche più semplicemente (tanto è possibile per sanità, istruzione e welfare in quanto attività di interesse generale incluse nell’elenco di cui all’art. 5 del Dlg 117/2017) di una scelta amministrativa di Aziende sanitarie pubbliche e Comuni/Ambiti territoriali sociali, che potrebbero legittimamente applicare il codice unico del terzo settore in alternativa all’appalto, la rendicontazione a costi reali in alternativa all’utile, il ricorso al privato sociale iscritto al RUNTS con garanzia di requisiti prestabiliti a monte e a presidio e rafforzamento della tutela dell’interesse pubblico anzichè la libera (e selvaggia) iniziativa economica su beni speciali come la salute e l’istruzione (che alla salute stessa concorre).
Salviamo la buona fede dei sostenitori dell’autonomia differenziata, a prescindere dalla loro collocazione in questo o quel partito (essendo la materia abbastanza trasversale alle singole componenti e parti politiche e dovendosi gli studiosi astrarre da tali valutazioni) e introduciamo l’amministrazione condivisa prevista dagli artt. 55 e seguenti del dlg 117/2017 quale elemento di moderazione etica della riforma sull’autonomia differenziata, anche a rafforzamento della “reputazione” etica dell’applicazione della ormai imminente vigenza della normativa?
Può essere ad esempio l’attuazione delle decisioni Stato Regione in materia di accreditamento dei servizi di assistenza domiciliare integrata il primo banco di prova su cui sperimentare la “moderazione etica”, nella carne e le ossa della salute territoriale e di prossimità, riservando agli ETS la gestione di tali servizi ai sensi del codice unico del terzo settore, magari associandoli e integrandoli con le “Case” e gli “Ospedali di comuntà”, che il settore pubblico non riuscirebbe ad attivare date le croniche carenze di personale già presenti sulle primarie strutture sanitarie, evitando di mandare in fumo copiose risorse del PNRR? Tanto basterebbe anzitutto ad escludere che la riforma, laddove indebolisse in alcuni territori la regia pubblica di alcuni servizi per la carenza di risorse a disposizione degli enti pubblici preposti, lo faccia per aprire un varco all’interesse speculativo. Ma sarebbe anche una ghiottissima occasione, per garantire in un colpo solo: l’appropriatezza della personalizzazione della prestazione (che l’appalto che è standardizzazione a priori della prestazione richiesta nega per definizione), buona parte della realizzazione della missione 5 e 6 del PNRR altrimenti al palo e l’attivazione dell’ampliamento dello spazio pubblico a chi non vuole sostituirsi alla pubblica amministrazione (il profit puro) ma vuol esserne parte integrata (gli ETS).