Economia e sviluppo

 

Cittadini, sicurezza, salute e lavoro

 

Economia e sviluppo

 

Cittadini, sicurezza, salute e lavoro

 

Welfare e recovery plan al bivio, tra ciò che è giusto e ciò che è facile

da

Foto di Harri Vick da Pixabay

Nel tempo in cui l’emergenza sociale scaturita dalla pandemia ha necessariamente accelerato il fiume degli interventi assistenziali, proprio nella fase storica in cui finalmente il nostro Paese è uscito dall’essere fanalino di coda in Europa per l’assenza di una misura stabile di contrasto alla povertà assoluta, il tema del rapporto tra giustizia sociale e consenso assume un’enorme carica di attualità.

Non c’è dubbio che le politiche sociali e di welfare debbano tendere al benessere delle persone, ma è proprio il concetto di benessere a cui tendere nelle politiche pubbliche che necessita di essere definito.

Anzitutto va distinto il benessere duraturo da quello sfuggente e immediato, la cura, dalla terapia del dolore sociale, come ho avuto modo di ribattezzare in precedenti riflessioni l’assistenza fine a se stessa, facile epilogo dell’assistenzialismo.

Il benessere vero, duraturo, liberante definitivamente da ogni ostacolo e trappola di ordine economico e sociale che rende fragili, presuppone anzitutto che l’intervento sociale di sostegno al cittadino sia circoscritto nel tempo e impostato fin dall’inizio per rendere quell’intervento emergenziale quanto più breve possibile (in caso contrario l’emergenzialità stessa sarebbe esclusa). Questo è l’approccio di un welfare giusto, per il rispetto delle risorse pubbliche investite e, prima ancora, per il rispetto pieno della dignità di ogni cittadino.

Poi c’è il benessere passeggero, quello che ti appaga sul momento, dove il problema di fondo resta, ma il dolore per un po’ passa, per riscoprirlo a breve con l’aggravante della cronicità, dove la “morfina sociale” necessita di un dosaggio sempre maggiore. Questo è l’approccio di un welfare facile, in cui spesso si annida l’assistenzialismo peggiore, quello che reca la maggiore dipendenza patologica sociale tra chi è fragile e chi è deputato a prendere in carico le fragilità, dove il consenso (anche questo spesso passeggero) è forte, ma la resa etica e sociale è la peggiore.

Al di fuori di ogni discorso astratto, il tema diventa molto concreto e attuale se lo raffrontiamo alle esperienze di contrasto alla povertà che stiamo vivendo. Premetto che, nel tempo in cui il maggior sport praticato è quello di dissociarsi da qualcosa e da qualcuno, non intendo dissociarmi dalla intuizione positiva praticata, prima con il Rei e poi con il reddito di cittadinanza.

Non intendo però dissociarmi dallo spirito per cui quella misura nata nel dibattito meglio riuscito dell’ultimo ventennio politico italiano, ha visto saldate le istanze del sociale organizzato con quelle di buona parte della politica, che vogliono questa misura come provvisoria, a termine, espressione di quel welfare giusto (e non facile) che accompagna i cittadini fragili alla soluzione e non a superare provvisoriamente il dolore di una condizione difficile.

Un welfare giusto vuole ad esempio un reddito di cittadinanza che garantisce sempre i bambini presenti nel nucleo familiare (con interventi non solo monetari, ma demonetizzati e quindi con finalizzazione certa al bisogno), ma propone ai loro genitori un patto che esclude ogni parallelo lavoretto a nero, con progetti di utilità collettiva diffusi, partecipati, in rete con le aziende, con le agenzie per il lavoro pubbliche e private. Questo tipo di welfare è giusto e liberante dal bisogno, ma non trova spesso nel consenso popolare l’obiettivo di brevissima realizzazione di esso ed è molto più difficile da realizzare, perché richiede impegno, risorse umane qualificate in campo, dedizione profonda alla causa della persona umana.

Il recovery plan è allo stesso bivio che abbiamo descritto per il welfare, giusto o facile, sapendo che il giusto spesso facile non è. Ma risorse straordinarie per importo e frutto del graffiamento del barile delle casse pubbliche, non devono forse essere dedicate prioritariamente a colmare le disuguaglianze tra esseri umani consentendo il recupero di livelli essenziali delle prestazioni uguali per tutti? Che questo sia giusto lo dicono ormai tutti, dati incontrovertibili alla mano, aumento del Pil compreso (unendo l’utile di far star bene tutti allo stesso modo, con il dilettevole di rianimare l’economia). Che questo sia facile lo hanno dimostrato gli esperti e i politici più competenti sul tema.

Ma ciò che è facile “tecnicamente”, esaurisce le declinazioni della facilità se non incrocia il consenso immediato?

Articoli correlati

Il reddito di cittadinanza e il festival dell’ipocrisia

Il reddito di cittadinanza e il festival dell’ipocrisia

Di ipocrisia peccano i sostenitori del reddito di cittadinanza così come lo ha ereditato Giorgia Meloni e contestualmente anche i falchi del suo governo, entrambi attenti prioritariamente ai sondaggi a discapito della scelta giusta Il nuovo dibattito che si è...

Il sacchetto forato delle famiglie italiane

Il sacchetto forato delle famiglie italiane

Le confusioni esistenziali di un popolo e la rinunzia a essere Istituzione di Stato e Ue, che tolgono ai tanti per arricchire i pochi Il volume complessivo del gioco d’azzardo in Italia nel 2019 era di 106 miliardi di euro, sceso ad 88 nel periodo della pandemia a...

Dove è finito lo Stato mentre la gente è sfinita?

Dove è finito lo Stato mentre la gente è sfinita?

Salute, banche e poteri forti: il deserto delle tutele Il nostro è un Paese dove tutti dichiarano di volere il benessere della comunità, ma dove i fatti generano il benessere di pochi. Un Paese, dove tutti dichiarano di non voler lasciare nessuno indietro, ma dove...

Gianluca Budano

Welfare manager pubblico, esperto in materia di politiche socio-sanitarie, ha diretto numerose amministrazioni pubbliche, anche in funzione di sovraordinato del Ministero dell’Interno in Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Co-Portavoce nazionale di Investing in Children – Alleanza per l’inclusione e il benessere dei minori in Italia, già Consigliere di Presidenza Nazionale ACLI, Consigliere di Amministrazione di Terzjus – Osservatorio Nazionale di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale, componente del Direttivo Nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, dirigente di Avviso Pubblico – Associazione di Enti Locali e Regioni contro le mafie.