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La riforma del terzo settore e l’Italia che ricuce

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Foto di Céline Martin da Pixabay

Il 2017 è stato l’anno in cui il governo varò la riforma del Terzo Settore con il suo primo Codice Unico (dlg 117/2017). Padre indiscusso di essa il Sottosegretario di Stato del tempo Luigi Bobba, la cui storia nel sociale italiano ampiamente ha animato il suo impegno politico e la sua assoluta autorevolezza nel settore.

Ma la ricchezza del processo riformatore è nel fatto che la paternità della riforma non è esclusiva, ma diffusa. Appartiene a tutti coloro che hanno costruito negli anni un mondo, quello del Terzo Settore appunto, incardinato nel principio di sussidiarietà orizzontale (circolare per diversi) che la riforma del Titolo V della Costituzione ha voluto nell’articolo 118 ultimo comma, dando il rango di norma “superiore” alle autonome iniziative dei cittadini che lo Stato (e le sue diramazioni) sono tenute a favorire.

Già ai tempi della mia dissertazione di laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza della LUISS “G. Carli” (relatore il Prof. Marcello Clarich) teorizzai che, almeno in materia di servizi sociali, la Legge 328/2000 aveva anticipato la modifica costituzionale di cui sopra, dando un rango speciale ai corpi intermedi nella costruzione delle politiche di welfare territoriali. Il risultato, sia della 328 sia del 118 u.c., è stato però nel tempo a macchia di leopardo: una normativa quasi sempre declinata come di settore, riferita ad associazioni e imprese sociali, non cogliendo assolutamente nel segno delle intenzioni del legislatore ordinario e costituzionale.

Chi ha voluto favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, ha pensato a un rapporto a due: tra pubblico e privato sociale, non solo a quest’ultimo. Ha pensato di riformare non un settore, ma un paradigma di rapporto, il paradigma democratico con cui il cittadino partecipa alla scena pubblica, evolvendo la normativa sulla partecipazione al procedimento amministrativo (L 241/90) e scandendo il perimetro in cui il privato sociale può atteggiarsi al pari del soggetto pubblico in senso stretto.

La Riforma del Terzo Settore si è inserita proprio nel solco di questo ragionamento, declinando l’istituzionalità di quella parte che sceglie di ergersi a tale impegnativo ruolo. Non è questione di dimensione del sodalizio che ambisce a tale grande compito, ma di solidità degli intenti che a tale compito si indirizzano.

Da qui un vero e proprio codice che struttura e infrastruttura, che non esclude chi sceglie di esser fuori dai registri pubblici, ma offre molti strumenti a chi sceglie di starne dentro, con un’attenzione alla sostanza, dove adempimenti come il bilancio ordinario e quello sociale sono strumenti di trasparenza (e non burocrazia) come avviene per i soggetti pubblici in senso stretto e dove la gestione della cosa pubblica al pari dell’Amministrazione, come avviene per la cooprogrammazione e cooprogettazione delle politiche e dei servizi (artt 55 e 56 Dlg 117/2017) in un rapporto problematico ma evoluto con il codice degli appalti, spetta a chi sceglie di sentirsi Amministrazione, pur conservando la natura giuridica privata.

Insomma, si può essere parte dell’Italia che ricuce (come l’ha definita il presidente Mattarella con riferimento al Terzo settore) scegliendo la via del fare semplicemente bene e quella di farlo bene, secondo regole prestabilite dall’ordinamento che danno garanzia allo stesso che ogni sostegno, risorsa, favor sia giustificato da un regime pubblicistico speciale, specialità fondata su strumenti di partecipazione come il Consiglio Nazionale del Terzo Settore che tengono conto del complessivo sistema su cui si innesta l’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale.

La riforma del terzo settore, come ha magistralmente affermato il Vice presidente della Corte Costituzionale Prof. Giuliano Amato, non si riduce a norme che disciplinano particolari rapporti privatistici, ma si innesta nel solco più pieno del diritto costituzionale e amministrativo, come una attenta disciplina del codice può facilmente dimostrare.

Il Terjus Report, primo rapporto scientifico sull’attuazione della riforma presentato qualche settimana fa a Roma, denominata “in movimento”, lo dimostra plasticamente. Promosso ed elaborato dall’Osservatorio nazionale TERZJUS per il diritto del terzo settore, della filantropia e dell’impresa sociale, fondato poco più di un anno fa da numerose organizzazioni pubbliche e private del Paese (tra cui il Forum Nazionale del Terzo Settore, principale soggetto di rappresentanza nazionale) e presieduto dallo stesso Bobba, in un mix di testi giuridici, sociologici e interviste qualitative, traccia con rigore lo stato dell’arte della complessa riforma in atto, nella sua trasversalità al codice degli appalti, alla normativa tributaria, alle modalità di accountability dell’azione sociale, ai rapporti per la gestione della cosa pubblica unitamente alla Pubblica Amministrazione.

Un testo liberamente scaricabile dal sito che a ben vedere non è solo un servizio all’Italia che ricuce, ma anche a quella che progetta, innova e sceglie di esprimere il valore sociale che rappresenta.

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Gianluca Budano

Welfare manager pubblico, esperto in materia di politiche socio-sanitarie, ha diretto numerose amministrazioni pubbliche, anche in funzione di sovraordinato del Ministero dell’Interno in Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Co-Portavoce nazionale di Investing in Children – Alleanza per l’inclusione e il benessere dei minori in Italia, già Consigliere di Presidenza Nazionale ACLI, Consigliere di Amministrazione di Terzjus – Osservatorio Nazionale di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale, componente del Direttivo Nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, dirigente di Avviso Pubblico – Associazione di Enti Locali e Regioni contro le mafie.